giovedì 1 novembre 2007

La sclerosi laterale amiotrofica e il calcio

Esiste un rapporto fra la sclerosi laterale amiotrofica ed il gioco del calcio?

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) o malattia di Lou-Gehrig è una malattia neurodegenerativa che provoca la progressiva distruzione dei motoneuroni presenti nella corteccia motoria e nelle corna anteriori del midollo spinale; queste cellule nervose trasmettono i comandi per il movimento dal cervello ai muscoli e quando, per il progredire della malattia, non sono più in grado di inviare i propri comandi, i muscoli volontari vanno incontro ad una progressiva atrofia e paralisi. L’incidenza della malattia nella popolazione generale è di 0,6-2,6 nuovi casi per 100.000 abitanti/anno. I valori di incidenza/prevalenza in Italia sono i più elevati dei paesi occidentali, con 1,7 casi per 100.000 abitanti/anno: circa 800 nuovi malati ogni anno. Tuttavia due sono le zone del mondo particolarmente colpite: l’isola di Guam, nel Pacifico, e la penisola di Kii, nel Giappone; probabilmente in relazione a fattori ambientali, quali le abitudini alimentari. La SLA colpisce prevalentemente gli adulti, con maggiore incidenza nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 70 anni, di entrambi i sessi (con lieve prevalenza nel sesso maschile). Nella maggioranza dei casi si tratta di una malattia sporadica, che può colpire chiunque; solo nel 10% dei casi viene trasmessa geneticamente (SLA familiare), per lo più con modalità autosomica dominante (SLA familiare di tipo 1). Nelle forme familiari la patologia si manifesta precocemente e presenta un’evoluzione piuttosto rapida. L’esordio della malattia è generalmente subdolo; il malato riferisce astenia e affaticamento muscolare. Talora presenta crampi, strane cadute a terra e/o difficoltà a tenere in mano gli oggetti, segni e sintomi aspecifici di un male che porta inevitabilmente all’exitus nel giro di circa 3 anni. Con il progredire della malattia sempre più muscoli vengono interessati fino alla paralisi completa degli arti, alla difficoltà o impossibilità a masticare, deglutire, parlare. Normalmente sono risparmiate le funzioni vescicali e sessuali. Nelle fasi molto avanzate della malattia si rendono necessari presidi medico-chirurgici per rendere possibili l’alimentazione e la respirazione. Più dell’80% dei soggetti affetti muoiono per un disturbo respiratorio, aggravato da superinfezione bronchiale. La SLA è una malattia drammatica che distrugge progressivamente ogni distretto muscolare, rendendo il paziente incapace di compiere qualsiasi atto della vita quotidiana, lasciandolo tuttavia completamente cosciente del proprio decadimento. Le cellule nervose corticali, deputate al controllo dell’intelletto, della memoria e dell’emotività, non sono infatti interessate dal processo degenerativo. L’impatto psicologico della malattia è notevole e la depressione dell’umore è comune a quasi tutti i malati e necessita di precoci e specifici provvedimenti. La diagnosi si effettua usando vari tests ed esami di laboratorio, Risonanza Magnetica, Biopsia nervosa e muscolare, esami elettrodiagnostici. Attualmente non esiste terapia efficace. SLA, traumi ed attività sportiva. Nei calciatori è stata osservata in Italia un’incidenza di SLA 5 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Inoltre l’età di insorgenza della malattia in questo gruppo di soggetti è significativamente precoce rispetto alla media. Da queste osservazioni numerosi studiosi hanno formulato ipotesi per spiegare il motivo di questa “epidemia” nel mondo del calcio. Il calcio rappresenta, per molti studiosi, una disciplina sportiva a rischio di insorgenza di SLA per i continui traumatismi ai quali il sistema nervoso centrale è sottoposto mediante il colpo di testa. I giocatori di calcio infatti, diversamente rispetto ad altri sport, colpiscono la palla di testa senza avere nessuna protezione. La forza con cui il pallone impatta sul cranio è di circa 500-1200 Newton, tuttavia essa si distribuisce prontamente anche sul collo e sul tronco. Un’altra ipotesi avanzata da alcuni scienziati (Felmus 1976; Granieri 1988; Gregoire 1991) e suffragata da altri, è che l’attività fisica vigorosa possa, assieme ad altri fattori ambientali e costituzionali, essere responsabile dell’insorgeneza della malattia. Studi precedenti, ma indiretti, hanno dimostrato che durante l’esercizio fisico si ha la produzione di specie reattive dell’ossigeno. I radicali liberi dell’ossigeno si creano, nei calciatori, dalla combinazione dello sforzo fisico intenso con altri fattori; in effetti le abitudini dietetiche (alimenti pro-ossidanti), l’uso prolungato di farmaci antinfiammatori, le ischemie ripetute seguite da iperivascolarizzazione (dovute ai microtraumatismi o all’attività anaerobica prolungata seguita da improvvisa riossigenazione) possono rappresentare ulteriore fonte di stress ossidativo, al quale il sistema nervoso centrale è particolarmente senisibile. Esso contiene infatti una grande quantità di substrati facilmente ossidabili.

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